Intervista a Giancarlo Vason
Quando ha iniziato a collaborare con Farina? Sin dalla nascita dell’azienda Farina ho cominciato a lavorare con Remo, un uomo attento e pragmatico, con il quale il rapporto si è consolidato anche oltre la sfera professionale.
Remo era un uomo curioso e mi faceva molte domande su come impostare la produzione del vino e sulla tecnologie, così si è creato un percorso che mi ha visto al suo fianco come enologo e consigliere nei primi decenni di produzione. Il ruolo della mia azienda è stato determinante per assecondare le sue necessità di miglioramento tecnico e professionale.
Così siamo partiti con l'imbottigliamento delle damigiane, allora era il contenitore più in uso e più economico, e poi siamo passati alle bottiglie.
Con il tempo è cresciuta la necessità di confezionare vini sempre più stabili, di qualità, che potessero competere con le altre aziende.
Erano gli anni '70-'80 e i vini rossi come Amarone e Valpolicella dovevano ancora esplodere commercialmente mentre i bianchi come il Custoza e Soave, per la loro facilità di consumo, erano quelli più in voga. Si doveva ancora arrivare alla consapevolezza di mettere a riposo solo uva sana, uva bella, per produrre vini migliori.
In che modo la tecnologia ha aiutato il miglioramento dei vini?
Il momento storico che ha fatto aprire gli occhi e ha fatto sì che l'attività cambiasse a 360 gradi è avvenuto negli anni ’80. Si è fatta strada infatti la necessità di arrivare a portare l'azienda a conoscenze enologiche innovative che potessero rispondere alle richieste del mercato.
Questo ha accelerato i tempi e ha permesso di rimanere in competizione con l’estero.
Per affrontare le prime sfide dell’export, ad esempio negli USA, si sono resi necessari investimenti per il controllo delle fermentazioni con lieviti selezionati, l’imbottigliamento sterile dei vini, e di conseguenza nuove conoscenze enologiche.
Per me era naturale portare avanti la ricerca a quel tempo, e le occasioni di piacere, come le serate in cui io, Remo e le rispettive famiglie ci trovavamo a passare in compagnia, si trasformavano in occasioni di confronto, per raccogliere spunti reciproci. Io applicavo le mie ricerche e Remo trovava spunti teorici per nuove applicazioni pratiche.
Quale è stata l’evoluzione più moderna?
Negli anni Novanta c’è stata una corsa a copiare i vini che provenivano dal Nuovo Mondo. Una ricerca di vini sempre più concentrati, strutturati. Mentre in tempi più recenti, dal 1995 ad oggi, è stata posta più attenzione nel sottolineare le peculiarità che l’uvaggio della Valpolicella comporta: eleganza, piacevolezza, morbidezza. Si sta sviluppando nei produttori sempre di più la consapevolezza di voler raggiungere con professionalità quell'obiettivo che ci ha fatti invidiare dal mondo intero: vini che sono l’emblema del nostro territorio, rappresentativi del terroir.
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Com'è entrato nel mondo del vino? La tradizione vitivinicola scorre nelle vene della mia famiglia. Mio padre possedeva un’azienda agricola e aveva un’importante allevamento di bachi da seta.
Quando è morto mio papà, io non volevo più studiare e non volevo più saperne della sua attività. Ho scelto però di frequentare l’Istituto Agrario a Verona e al terzo anno ho scelto di continuare il percorso, studiando enologia a Conegliano. Così sono diventato un enologo nel 1963.
Nel 1966 abbiamo diviso il patrimonio con i miei fratelli, che non erano interessati a portare avanti l’attività di nostro padre, e abbiamo iniziato a sviluppare un'attività di agenzie: io mi occupavo della vendita dei prodotti enologici e mio fratello Giuseppe delle macchine agricole.
10 anni prima, nel 1955, era già nata l’azienda Vason con mio fratello, che decise di portare avanti solo il ramo delle macchine agricole e far fare a me l’attività legata al mondo dell’enologia.
Il mio obiettivo è sempre stato quello di perfezionare costantemente i prodotti che proponevo alle aziende vinicole, intervenendo con la tecnologia per risolvere i problemi che insorgevano in quegli anni in cui ancora si stava capendo la direzione da seguire nella produzione dei vini. Così abbiamo portato l’innovazione in Italia e nel mondo.
Da enologo, che giudizio darebbe ai vini di Farina?
Posso dire che il mio preferito è il Monte Fante. Un vino che vanta ormai una storia più che trentennale, la prima annata è stata nel 1997. Il vino è elegante, morbido, vellutato, facile da bere, con un'impostazione molto moderna.
Cosa pensa del cambio generazionale che è avvenuto all’interno dell’azienda Farina?
Il testimonial è stato ben preso. Elena e Claudio hanno fortificato l’azienda e l’hanno resa più moderna e in linea con le esigenze dei mercati mondiali.
Com'è cambiato il vino nel tempo?
In 60 anni c'è stato un cambiamento epocale di conoscenze.
L'enologia moderna è iniziata 60 anni fa e a quei tempi il vino era visto solo come accompagnamento per alimentare lavoratori e braccianti. Oggi si è passati ad un vino esperienziale, edonistico.
Solo oggi siamo in grado di dominare il processo di trasformazione dell'uva in vino. Quello che c'è dentro un acino resiste all’appassimento, si modifica e produce delle connotazioni che differenziano un Amarone da tutti gli altri vini. Insomma riusciamo a far emergere le caratteristiche del territorio.